domenica 7 dicembre 2014

PIERGIORGIO COLOMBARA: IL CANTO DELLA CLESSIDRA - 1985




PIERGIORGIO COLOMBARA
IL CANTO DELLA CLESSIDRA
testi di Marco Ercolani e Sandro Ricaldone
Unimedia 1985

IL CARRO DI FUOCO

Un intreccio di reminiscenze mitologiche s'innesta attorno a "Il Carro di Fuoco", impropriamente - per un verso - ma esattamente, anche. Giacché si tratta di materiali utilizzati non in conformità ai canoni della "citazione" ma sedimentati in un deposito di memorie da cui affiorano sciolti da ogni incrostazione culturale, nella loro originarietà metaforica. 
Gli elementi dell'installazione (la cui qualità mimetica: cartapesta anziché legno, sfumato in luogo d'ombra, metallo per luce - non s'indirizza al trompe-l'oeil bensì verso l'illusione nel senso più ampio, non semplice simulazione del reale ma suo trascendimento) richiamano, nella ruota infranta, la corsa precipitosa di Fetonte: nell'ala rescissa, il volo d'Icaro. 
Corsa e volo che si danno come un paradigma autobiografico, che si risolvono, eloquentemente, in un tuffo, nella discesa in un cono d'ombra al cui termine un punto segna un'origine che (secondo l'espressione di Karl Kraus) è - nel contempo - la meta. 
La relazione fra elementi contrari (luce / ombra: caduta / ascesi) più che uno schema dialettico pare sottenda un regime di assolute equivalente. Il disco che qui scorgiamo luminoso racchiude - nutre, forse - il soleil noir di Nerval. Ma certo il lavoro è più ricco, più vario d'impulsi rispetto a quanto ho sin qui accennato: colpisce - sotto il profilo formale - la ponderazione dei toni aurei, dei neri, dei grigi; l'equilibrio suggerito dai moduli triangolari, sottilmente legati e disgiunti; i motivi circolari che, in scala differente, si riprendono in diagonale... 
Vicino, come sospeso nell'aria, un corno inglese s'innalza, inconsueta girandola d'ottone, all'apice d'uno guglia. Il suono è abolito, dissipato secondo la sua essenza o rifluito nelle cavità dello strumento, prossimo a rimutarsi in fiato. Una "trottola" è posta più in là, acuminato, precario sostegno su cui si tiene in equilibrio il mondo. 
>Resi con cautela alla superficie, i frantumi (le reliquie) delle cose - un tempo disseminati a designare la traiettoria dei sentimenti, a fissare l'intermittente costellazione del ricordo - si fondono ora (non a caso rivestiti d'una color bronzo) in attrezzi o monumenti enigmatici, la cui inerzia esteriore lascia supporre una segreta, più vivida, concentrazione d'energie.

(dal catalogo della mostra Il canto della clessidra, Galleria Unimedia, Genova 1985)

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