lunedì 8 settembre 2014

IMMAGINE PER LA CITTÀ - 1972




IMMAGINE PER LA CITTÀ
Accademia Ligustica di Belle Arti - Palazzo Reale
Genova, 8 aprile - 11 giugno 1972

Direzione della mostra: Gianfranco Bruno 
Coordinamento: Franco Sborgi
Comitato ordinatore: Zeno Birolli, Gianfranco Bruno, Gian Piero Calza, Vittorio Fagone, Bernd Krimmel, Franco Sborgi.

Proiezioni al Palazzo dell'Accademia: Arno Hammacher
Proiezioni al Palazzo Reale: Giorgio Bergami

Allestimento al Palazzo dell'Accademia: Studio Lavarello
Allestimento al Palazzo Reale: arch. Mario Semino


---------------------------

La mostra è nata da un interesse per l’immagine della città come fatto ideologico. 
Cioé nella coscienza che alcuni fatti sociali - come la disordinata crescita urbana, la violenza della speculazione edilizia - snaturano l’immagine della città.
Si era iniziato un primo lavoro di tipo fotografico, a Genova, con una mostra che si è vista anche all’Università di Milano, intitolata “La città violenta” che era uno sguardo sulla città di Genova, città in cui questi fatti sociali cui ho accennato, hanno preso una particolare evidenza e gravità.
Quest’occhio sulla città mostrava, nel modo più obiettivo, come la forma della città rispecchiasse una situazione ideologica molto precisa. Poi c’è stato un lavoro con i giovani dell’Accademia di Belle Arti di Genova, un lavoro di tipo didattico sull’arte moderna che ha puntualizzato i motivi dell’emarginazione dell’artista dalla crescita dello stato urbano.
E questi giovani hanno inteso fare una ricerca sulle motivazioni sociali e politiche di questa emarginazione. Emarginazione dell’operazione artistica proprio dalla figurazione che la città si viene dando. 
Allora, alcuni dei motivi dell’indagine anche sociologica sul tema della città (per esempio, l’ambiente e le sue forme, l’individuo e la folla, la violenza e le prospettive per una città più umana) sono stati presto assunti come temi di fondo nel chiarimento del rapporto, appunto, ambiente-immagine.
Quindi si è proceduto alla ricerca di quelle immagini che costituivano, più che un riflesso dell’ambiente urbano, un atteggiamento critico da parte degli artisti e ci si è chiesti quale sia stato il contributo portato dagli artisti alla crescita e alla trasformazione dell’habitat urbano. 
Non si è partiti dall’esperienza storica per un bisogno di mostrare il passato, quanto per il fatto che si e subito ritrovato che l’itinerario ideologico dell’arte moderna, nelle sue linee generali, trovava un punto di coincidenza con questi motivi dell’analisi sociologica sul tema della città. 
E allora si è capito che questo lavoro poteva avere anche una funzione didattica. Cioè, non soltanto chiarire i modi di relazione dell’artista con l’ambiente della vita, ma poteva anche essere utilizzato come modo di lettura delle immagini e quindi di avvicinamento di un pubblico vasto, e spesso lontano dai fenomeni de1l’arte moderna, al linguaggio degli artisti contemporanei.
Direi che non è stata superflua l’aggiunta e l’nserimento nella mostra di artisti contemporanei. Perché essendo questa analisi partita dalla constatazione di condizioni attuali, era necessario che questi artisti vi fossero presenti. 
Non tanto per stabilire o documentare la continuità di un tema, quanto per sottolineare l’attualità pressante di questo problema della città. 
E allora - soprattutto perché la situazione urbana è stata vista come giustificazione di un estendersi delle dimensioni del linguaggio artistico come evasione e fuga o come intervento o come immagine riflessa o come comportamento, la città è risultata, veramente, la dimensione, la matrice di fondo di queste esperienze contemporanee. 
E tanto si è pensato ad una dimensione didattica della mostra, che “Immagine per la città” non è soltanto una mostra d’arte. Ma comprende settori di proiezione, aperture visive, occhi, diciamo, sulla città, proprio perché l’intercambiabilità dei linguaggi visivi fosse vista come strumento di una presa di coscienza dell’habitat. 
Arte, fotografia, immagine degli artisti, comportamenti, proposte, come modi di partecipazione e di presa di coscienza di una realtà che noi viviamo e che è quella che è. 
Si voleva, poi, che la mostra, pur avendo un fondo di natura storica, fosse agganciata al presente. E in modo particolare ad una situazione anche locale, cioè al luogo in cui essa è nata.
Per cui le proiezioni hanno due termini. Uno è quello dell’;indagine sull’ambiente urbano in generale: da Londra a New York, da Lubiana a Milano, ecc. L’altro quello dell’ambiente urbano locale. A documentare una situazione, diciamo, globale, della violenza della città.

Gianfranco Bruno

(da NAC Notiziario Arte Contemporanea, giugno-luglio 1972, p. 6)

---------------------------


A prima vista, una mostra non facile. Le opere sono, in genere, molto interessanti, ma il percorso è piuttosto complicato e, per di più, c’è quel titolo “Immagine per la città” (un pò ermetico, come oggi quasi tutti i titoli) ad intrigare non poco il visitatore. 

Poi, pian piano, forse proprio per quella particolare attenzione e relazione a cui l’autentica opera d’arte riesce a dar vita, la trama si disvela, affiora il filo conduttore del discorso.

E ripercorrendo le bianche sale dell’Accademia viene chiaramente in luce quella “presa di coscienza” del problema della città, da parte degli artisti, di cui parla Gianfranco Bruno, animatore e principale responsabile della mostra. 
E si comprende come questo “problema urbano” nasca solo a partire da un certo momento, come rileva Franco Sborgi (altro responsabile) per giustificarne i limiti cronologici. E, infine, come sia esatta la diagnosi di Vittorio Fagone - sempre nell’introduzione al catalogo - che questo mutato rapporto con la città sia strettamente legato all’avvento della macchina.
Da una esposizione di splendide opere che, da principio, poteva far pensare alla solita, occasionale “antologica” - o, tutt’al più, ad una proposta “per una galleria d’arte contemporanea”, mancante anche a Genova - vien fuori, cioè, tutta una serie di relazioni che si organizzano intorno al tema cruciale “arte e città”.
E dicendo cruciale non ci si riferisce sotanto ai dipinti e alle sculture e a quella sala in cui Arno Hamtnacher mi pare riesca a toccare la coscienza di ognuno, con una icastica sequenza di foto che documentano il dramma del decadimento urbano; oppure a quel settore più propriamente architettonico-urbanistico, ospitato a Palazzo Reale insieme ad altre opere che non hanno trovato posto all’Accademia, settore riservato ad una svariata e problematizzata serie di progetti per una città effettivamente moderna. Quanto a quella realltà che è poi il tema-base paradigmico, verso cui gli organizzatori intendevano indirizzare l’attenzione del visitatore e, cioè, il centro storico di Genova e il suo futuro.
Una dura, cruda realtà alla portata degli occhi di tutti e che, implicitamente, quasi specularmente, rimandava a quel cielo tempestoso su Ostenda di Ensor, che apre la mostra, e a tutti gli altri ambienti urbani con i quali gli artisti, da tempo, hanno fatto i conti: dalla “Strada di S. Francisco” di Tobey alle macchine rninacciose e sopraffattrici di Kupka o di Grossberg.
E, via via, l’individuo e la folla di queste disumanizzate città (per esempio, il tragico “Viandante” di Sironi o il “Ritorno dei lavoratori” di Munch) e poi la violenza, documentata con opere altrettanto eccezionali, quali quelle di Shahn, di Kokoschka, di Warhol e di numerosi altri artisti italiani e stranieri, anche giovani.
Per ultimo, l’utopia, il progetto ideale - da Mondrian ai costruttivisti russi, da Albers a Klee in uno srotolarsi d’immagini che, lentamente, dialetticamente, riescono a suscitare questa consapevolezza di una città e di una vita che potrebbero essere diverse e, per molteplici ragioni, non lo sono.
Si ritorna allora, mentalmente, a contrapporre le “dernolizioni” di Mafai o le folle sfuggenti e senza volto di Genovés,
ai lirici progetti suprematisti di Malevic o agli spazi armoniosi di Nicholson. I sogni di De Chirico, alla Nuova Oggettività tedesca, a Vedova, alla struggente solitudine de “L’uomo inginocchiato sull’erba” di Bacon. 
E ci si sente presi da una profonda amarezza, da quel “vago sensodi sofferenza e d’ansietà” di cui parla Sbarbaro, opportunamente citato in catalogo, insieme ad altri poeti, scontratisi anch’ssi con la città. E vien voglia di dire,
con Brecht, che “e relazioni fra gli uomini per questo non migliorano. L’epoca dello sfruttamento non è per questo più vicina alla fine”.
Muove da qui la volontà di agire, di cambiare le cose. La volontà di discutere, in concreto, questo problema, ripeto, cruciale per il futuro degli uomini. Sorvolando su quanto d’imperfetto può esserci in questa mostra. Su quanto di irrisolto c’è nei suoi stessi modi espositivi. Accettando, cioè, questi limiti, come limiti umani e di quella obiettiva condizione generale su cui, appunto, la mostra vuole richiamare l’attenzione.
Avviando così un discorso critico che è augurabile sia intenso, aperto, spregiudicato. E di cui dobbiamo essere grati all’Ente Manifestazioni Genovesi che ha organizzato questa iniziativa e a coloro che materialmente, fra comprensibili difficoltà, l’hanno realizzata.
Una mostra che, soprattutto, speriamo non rimanga un fatto isolato. Ma consenta a questa città d’inserirsi in modo sistematico e con tutto il peso della sua storia in un discorso culturale ogni giorno più improcrastinabile.


Francesco Vincitorio

(da NAC Notiziario Arte Contemporanea, maggio 1972, p. 13)

Nessun commento:

Posta un commento