lunedì 8 settembre 2014

THE FLUXUS CONSTELLATION - 2002




THE FLUXUS CONSTELLATION 
a cura di Sandra Solimano 
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce 
Via Jacopo Ruffini 3 - Genova 
15 Febbraio - 13 Giugno 2002

Fluxus Constellation
di Sandra Solimano
maggio 2002

A quasi tre mesi dall’inaugurazione della mostra “The Fluxus Constellation” è tempo di bilanci per questa iniziativa decisamente innovativa per il Museo di Villa Croce (che si è impegnato per la prima volta nella produzione di una grande mostra dedicata all’arte internazionale) e per la città che, grazie alla collaborazione di molti soggetti esterni (l’Associazione Amici di Villa Croce, alcune gallerie, la Porto Antico S.p.A., la Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia e altri), è stata “invasa” da eventi culturali e ludici al tempo stesso, recuperando il piacere di un rapporto diretto con l’arte contemporanea e con alcuni dei suoi protagonisti a livello internazionale. A cominciare dall’incontro con gli artisti al Porto Antico, Welcome Fluxus!, cui ha preso parte, insieme alle autorità cittadine e agli addetti ai lavori, un pubblico eterogeneo, in gran parte di giovani, la dimensione della festa ha caratterizzato anche i momenti più formali come la conferenza stampa e il vernissage del 14 febbraio, ma soprattutto le due giornate di performances del 15 e del 16 nel corso delle quali Eric Andersen, Larry Miller, Geoffrey Hendriks, Alison Knowles, Ben Patterson, Ben Vautier, Emmett Williams hanno riproposto il “repertorio” di performances creato in questi anni da loro stessi e dagli amici scomparsi, con un’incredibile capacità di reinvenzione che misura l’effettiva distanza tra il teatro e questa particolare modalità di espressione artistica contemporanea. Ricordo tra le altre “In memoria di Adriano Olivetti” di George Maciunas, inconsueto omaggio all’imprenditore italiano, scandito dal ritmo del metronomo e dalla lettura sincopata e alternata dei numeri di un immaginario nastro di calcolatrice o “A solo per violino” di Paik, recitato da un Ben Vautier in stato di grazia, che applica i principi Zen della concentrazione e dell’immediatezza nella drammatica distruzione dello strumento. Per non parlare dello sciamanesimo volto in gioco del ”Fluxus Boat” di Geoff Hendriks che trasforma il suo corpo nudo in un ironico vessillo o ancora delle “Piano Activities” di Charles Ives riproposte da Philip Corner in un processo di distruzione del pianoforte che è di fatto rinascita nella trasformazione. Chi non ha preso parte a questi incontri ha certamente mancato un importante appuntamento con la vicenda artistica contemporanea, (peraltro documentata ampiamente in video consultabili presso il Museo) ma potrà comunque consolarsi con la mostra che resterà aperta sino al 16 giugno. La costellazione Fluxus che fino a questa data abita nelle sale del Museo di Villa Croce appare appunto come un sistema in rete di ricerche artistiche diverse, accomunate dal filo rosso di una identità tra la vita e l’arte che conduce quest’ultima al livello minimo dell’apparente banalità del quotidiano, sottolineandone di fatto i significati che ci sfuggono nel flusso continuo della vita d’ogni giorno. Questa particolare attitudine alla ”poetica del quotidiano” che ha alle sue origini la ricerca di Duchamp e che si manifesta in Europa e in America in movimenti artistici come il New Dada, la Pop Art, il Nouveau Réalisme (per citare quelli più noti) la si ritrova in mostra nella stanza di Ben Vautier che mescola scrittura, oggetti, giochi in un’ironica rappresentazione della mitologia dell’Arte (e della vita) o nel “tableau piège” di Daniel Spoerri che blocca nella dimensione del quadro un frammento di vita quotidiana, il tavolo appunto con le scodelle, i bicchieri e la caffettiera di una colazione appena consumata, nelle opere di George Brecht che affida a una seggiola o a un paravento la visualizzazione di concetti essenziali come la definizione dello spazio e del tempo o la riflessione sul principio di unicità e molteplicità. Altre opere ci conducono in una dimensione più lirica e intimistica come “Un cielo per Genova” di Hendriks che alterna le tegole d’ardesia dei tetti genovesi a delicati acquerelli di cieli velati di nubi, quasi ad indicare nel tetto la linea di confine tra il mondo chiuso dell’uomo e l’infinito del cielo che si rispecchiano l’uno nell’altro, o “Leone d’oro” di Alison Knowles che associa a oggetti trovati, consumati dal tempo, la loro proiezione grafica in serigrafie colorate. Nei primi anni del movimento (Fluxus nasce a Wiesbaden nel 1962) questa riflessione sull’oggetto quotidiano si manifesta nelle forme estreme dei ”Fluxkit”, vere e proprie valigette da venditore che presentano, in forme apparentemente commerciali, piccoli oggetti inutili realizzati in tirature limitate dagli artisti del gruppo, quasi a voler ricondurre l’arte ai canali ordinari della distribuzione commerciale, con un’evidente intenzione polemica e dissacratrice che è comune a tutti i Fluxers, ma particolarmente cara al fondatore e organizzatore del movimento George Maciunas, autore tra l’altro di una sarcastica rivisitazione della bandiera americana che denuncia “crimini e misfatti” compiuti dagli USA contro l’umanità. Il carattere eversivo di Fluxus si manifesta anche e soprattutto nei confronti del linguaggio musicale e delle ritualità del palcoscenico tradizionale. Va detto infatti che Fluxus ha avuto due grandi padri: Duchamp e John Cage. A quest’ultimo e alla sua rivoluzione musicale (dai più banalmente riassunta nella celebre partitura di 4’33’’ di silenzio) fanno riferimento molti degli artisti Fluxus come Higgins, Brecht, La Monte Young, Mac Low, Paik e altri che seguono il suo corso all’Istituto di Ricerche sociali di New York e lavorano in seguito sulla sperimentazione di musica elettronica di Richard Maxfield. Inutile dire che per comprendere a fondo la portata di queste innovazioni che influenzano la musica contemporanea, anche nei suoi aspetti più popolari e diffusi, occorrono competenze che appartengono a pochi. A questa sperimentazione troppo specialistica per essere recepita dal grande pubblico, Fluxus associa dunque interventi assai più clamorosi ed eclatanti quali appunto le già citate “distruzioni” e “manipolazioni” degli strumenti musicali o forme libere e alternative di musica come gli strumenti di Joe Jones che suonano da soli nell’apparente casualità del movimento di motorini elettrici o le partiture di Giuseppe Chiari che propongono concerti per automobili o per città sino al mito della donna violoncello, Charlotte Moorman, musicista che diventa essa stessa strumento per la “scandalosa” Sextronique music di Nam June Paik, le cui ricerche multimediali (sviluppatesi poi nell’invenzione della videoarte), rappresentano emblematicamente il carattere di Fluxus, trasversale per definizione, europeo, americano, orientale, un esempio assolutamente alternativo alla globalizzazione che omologa e annulla le differenze. La mostra, come si ricorda nel titolo, è stata pensata e realizzata in occasione del quarantesimo anniversario della nascita del movimento e si inserisce quindi, anticipandole, in un contesto di iniziative internazionali che da Berlino a Parigi riproporranno agli appassionati, ma anche ad un pubblico più allargato, la storia e le opere di Fluxus nei suoi primi quarant’anni. Al di là di questa valenza celebrativa essa nasce comunque, anche e soprattutto da una riflessione sulla storia culturale della nostra città, che, nonostante la sua apparenza conservatrice e la sua costante attenzione alla testimonianza di un passato glorioso, ha sempre dimostrato, almeno a livello del collezionismo più colto e qualificato, curiosità e interesse per i movimenti dell’avanguardia artistica. Fluxus in particolare è presente a Genova già intorno alla metà degli anni Sessanta grazie all’attività della galleria La Bertesca che organizza tra l’altro nel ’67 uno dei primi concerti Fluxus in Italia. Negli anni ’80 altre gallerie genovesi si occupano degli artisti del movimento: Chisel, Martini e Ronchetti, Leonardi V Idea e in particolare l’Unimedia di Caterina Gualco che segue con passione l’attività degli artisti Fluxus ed entra in contatto con i più importanti organizzatori italiani di eventi Fluxus tra cui Francesco Conz e Gino Di Maggio che hanno preso parte anche alla realizzazione di The Fluxus Constellation. è parso dunque giusto che il Museo d’arte contemporanea della città desse visibilità a questa Genova fluxista e ai tesori nascosti delle collezioni private, tentando anche, con il contributo di critici ed esperti come Henry Martin, Enrico Pedrini, Sandro Ricaldone, nonché di artisti e di protagonisti del movimento, una sistemazione critica e una ricerca storico-artistica compendiata nel bel catalogo Neos edizioni, realizzato con il contributo della Fondazione. L’esperienza della mostra Fluxus, con il suo corollario di iniziative ludico-culturali gestito in collaborazione con soggetti esterni, pubblici e privati, è stata percepita dal Museo, ma credo di poter dire anche dall’Amministrazione Civica e dalla opinione pubblica, come un primo positivo esempio da seguire e perfezionare nel predisporre la futura programmazione del Museo anche in vista dell’appuntamento del 2004 seguendo il percorso di iniziative di rilievo nazionale e internazionale dedicate a grandi movimenti della storia dell’arte del Novecento che tuttora influenzano la ricerca contemporanea (sono in programma per il 2003 e per il 2004 due grandi mostre, una dedicata al Concettuale, l’altra alle ricerche ipertestuali dal Futurismo al Situazionismo) senza trascurare ovviamente una ricognizione sul lavoro delle più giovani generazioni di artisti. E proprio nell’ottica di una cultura trasversale e multimediale che non può non tener conto dei nuovi dati di contesto che scaturiscono dall’evoluzione scientifica e tecnologica dei nostri giorni e delle radicali trasformazioni socio-culturali, è prevista per il 2004 una grande mostra dedicata al “Viaggio dell’uomo immobile” che associa alla produzione artistica realizzata con le nuove tecnologie (video, computer) una più generale riflessione sugli infiniti viaggi che l’uomo contemporaneo può compiere virtualmente per scandagliare le sue radici o per immaginare il proprio futuro: dalla mappa del genoma alla simulazione del volo spaziale.

http://www.ecn.org/hackerart/visionatotale.php?ID=4691&argomento=musica&autore=Solimano+Sandra

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